Sez. U,
Sentenza
n. 20300
del 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente - del 22/04/2010
Dott. MARZANO Francesco - Rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. CARMENINI Secondo Libero - Consigliere - N. 10
Dott. MILO Nicola - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere - N. 32325/2009
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Lasala Cosimo Damiano, n. in Barletta il 4.8.1985;
avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Bari in data
24.8.2009;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale, Dott.
CIANI Gianfranco, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della
ordinanza impugnata; in subordine ha chiesto che venga sollevata
questione di legittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p. e
dell'art. 101 disp. att. c.p.p..
Non comparso il difensore del ricorrente.
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
1.0. Il 24 agosto 2009 il Tribunale del riesame di Bari confermava
l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del
Tribunale di Trani il 5 agosto 2009 nei confronti di Lasala Cosimo
Damiano, per imputazioni di associazione per delinquere (capo a)
della rubrica), di sette rapine in danno di istituti bancari (capi
b), b1), b2), b3), b4), e), d2) della rubrica medesima), di
detenzione e porto illegale di una pistola (capo N) della stessa
rubrica).
Rilevavano i giudici del merito che "le fonti indiziarie sono
essenzialmente costituite:
a) dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal minore
Fiorella Fabio, il quale si è autoincolpato di ben 17 rapine,
precisando di essere stato "iniziato" al crimine da Lombardi Luigi
... ed indicando il loro tramite in Lasala Cosimo Damiano, che li
poneva in contatto al fine di programmare le rapine da mettere a
segno ...;
b) dagli esiti delle acquisizioni dei tabulati delle utenze
appartenenti al Lasala e agli altri associati ...;
c) dai risultati delle numerose conversazioni telefoniche e fra
presenti intercettate dagli investigatori;
d) dagli atti di p.g. concernenti gli arresti dei coindagati,
giudicati in procedimenti collegati; e) dai servizi di osservazione,
pedinamento e controllo espletati dai verbalizzanti;
f) infine dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rilasciate da
Gambarotta Ruggiero".
Da tutti tali elementi i giudici del merito traevano la sussistenza
del grave quadro indiziario, "la persistenza di rimarchevoli esigenze
di cautela sociale connesse ad un vivo pericolo di reiterazione
criminosa", "l'assoluta inadeguatezza ai fini preventivi della misura
gradualmente meno afflittiva degli arresti domiciliari".
1.1. Nel pervenire alla resa statuizione, il Tribunale del riesame
rigettava alcune eccezioni difensive.
In particolare, quanto ad una dedotta eccezione di "perdita di
efficacia della misura per avere il P.M. omesso di rilasciare copia
su supporto magnetico delle conversazioni intercettate", riteneva la
infondatezza di tale rilievo "al di là del fatto che risulta solo
affermata ma non documentalmente provata la circostanza che il
difensore di Lasala ... abbia avanzato la richiesta di duplicazione
delle intercettazioni su nastro magnetico".
Considerava che, "in ogni caso", su tale "asserita richiesta ... non
è intervenuto alcun provvedimento di diniego esplicito o tacito;
anzi, come si desume dai motivi aggiunti depositati in udienza dal
difensore dell'interessato, il P.M. procedente, con nota a margine
della richiesta difensiva, ha formulato in ordine ad essa parere
favorevole, inviando la stessa per competenza al G.I.P.; dunque su
tale richiesta sarà tale organo giusdicente a doversi pronunciare in
prosieguo".
Rilevava, inoltre, che con la sentenza della Corte Costituzionale n.
336/2008, "il giudice delle leggi ha dichiarato la illegittimità
costituzionale dell'art. 268 c.p.p. nella parte in cui non prevede
che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone
una misura personale cautelare, il difensore possa ottenere la
trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di
conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini
dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate,
senza però stabilire alcun termine entro il quale tale adempimento
debba essere assolto".
Riteneva, inoltre, di non condividere quanto al riguardo era stato
ritenuto dalla sentenza di questa Suprema Corte, Sez. 6^, del 26
marzo 2009, n. 1950, e di condividere, invece, quanto affermato da
altra sentenza, Sez. 6^, del 6 novembre 2008, n. 44127, "secondo cui
la richiesta intesa ad ottenere la trasposizione su nastro magnetico
delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni utilizzate ai
fini dell'adozione di un provvedimento cautelare personale dev'essere
presentata al giudice che ha applicato la misura coercitiva...".
2.0. Avverso tale provvedimento ha personalmente proposto ricorso
l'indagato, denunciando:
a) vizi di violazione di legge e di motivazione.
Premesso che "il collegio aveva rilevato ex officio e su indicazione
difensiva una trasposizione del contenuto delle informative dei
Carabinieri, da prima tramutata come richiesta di emissione di
ordinanza di custodia cautelare da parte del P.M. e successivamente
trasformata dal G.I.P. come ordinanza di custodia cautelare", deduce
che il Tribunale del riesame avrebbe sorvolato sulla "nullità
dell'ordinanza citando la sentenza delle S.U. del 21.6-21.9.2000, n.
17, Primavera ... richiamando per relationem un provvedimento
restrittivo della libertà personale ..."; quel principio troverebbe
"applicazione quando il G.I.P. autorizzi per relationem per esempio i
decreti autorizzativi e non un provvedimento cautelare privando della
libertà personale un soggetto senza che sia presa cognizione del
contenuto delle indagini svolte dalla p.g. e valutando gli elementi
favorevoli e/o sfavorevoli a carico dell'indagato ...";
b) vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione
all'art. 268 c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 5.
Premette il ricorrente che il proprio difensore, dopo l'esecuzione
della misura cautelare, aveva estratto copie integrali degli atti
processuali, non rinvenendo i supporti magnetici ed i "brogliacci".
Deduce, quindi, che "il mancato deposito presso il Tribunale del
riesame dei supporti informatici e i brogliacci delle conversazioni
telefoniche è causa di nullità e perdita di efficacia della misura
cautelare atteso che l'ordinanza è basata sulle intercettazioni
telefoniche ...".
Soggiunge che lo stesso difensore aveva poi, il 14 agosto 2009,
richiesto all'ufficio di Procura il "rilascio delle trascrizioni
delle intercettazioni telefoniche e brogliacci", ed il P.M. aveva
annotato in calce alla richiesta "visto al G.I.P. con parere
favorevole ed esecuzione alla p.g. operantè ....".
Recatosi il 19 agosto successivo presso il Comando Compagnia
Carabinieri di Barletta al fine di ottenere copia dei dati
informatici relativi alle intercettazioni telefoniche e dei
brogliacci, il difensore aveva appreso che i supporti informatici si
trovavano in Procura sin dal 12 giugno 2008, e "non venivano messe a
disposizione della difesa ...".
Richiama, al riguardo, la già citata sentenza della Corte
Costituzionale, n. 336/2008 e deduce, quindi, che anche in tal caso
"il tribunale del riesame ... aggira l'ostacolo sanando quella
violazione del diritto di difesa ...
Non necessita alcuna autorizzazione da parte del G.I.P. al rilascio
delle intercettazioni telefoniche in quanto depositate e facenti
parte del fascicolo delle indagini preliminari, è il P.M. che
autorizza e non il G.I.P....";
c) vizi di violazione di legge e di motivazione.
Il P.M. - assume il ricorrente - aveva emesso il decreto di
intercettazioni telefoniche sulla sua utenza cellulare solo "sulla
base di due elementi di scarsa rilevanza indiziaria":
l'interrogatorio di Fabio Fiorella, che "mi esclude da qualsiasi
partecipazione alle rapine ...", ed il rinvenimento, nel corso di una
perquisizione nell'abitazione dello stesso, di un pezzo di carta che
recava annotato il numero della sua utenza cellulare.
Soggiunge che, essendo emersa dalle dichiarazioni del Fiorella una
sua chiamata in reità, al riguardo "non vi era un solo riscontro
esterno che potesse dimostrare l'attendibilità" di tale chiamante in
correità: illegittimamente, quindi - deduce il ricorrente -, "il
P.M.... ha disposto con decreto d'urgenza le intercettazioni
telefoniche convalidate dal G.I.P., senza alcun riscontro esterno
delle dichiarazioni rese dal Fiorella ...", ed aveva richiesto ed
ottenuto anche una proroga;
d) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 273 c.p.p., quanto
al reato sub a) della imputazione (art. 416 c.p.).
Deduce che illegittimamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto
la sussistenza del reato associativo: esso aveva annullato
l'ordinanza coercitiva nei confronti del Lombardi, del quale egli,
"dalla lettura della ordinanza custodiale", era stato indicato come
"il braccio destro", che "prendeva ordini dal Lombardi".
Soggiunge che "il mero contatto telefonico tra il ricorrente e alcuni
indagati" non sarebbe idoneo a dare "alcun risvolto sulla loro
organizzazione e i facenti parte alla presunta associazione, sono
solo contatti telefonici sporadici ...".
In sostanza, dagli elementi di giudizio assunti e dagli esiti delle
disposte intercettazioni, non sarebbe affatto ravvisabile il grave
quadro indiziario in riferimento a tale reato, dovendosi semmai
ravvisare l'ipotesi "del reato del concorso in rapina e non ... del
reato associativo ...";
e) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 267 c.p.p., commi 1
e 1 bis, quanto alle imputazioni sub b), b1), b2), b3), b4, e) e d2)
(vari episodi di rapina).
Assume che illegittimamente gli erano stati attribuiti quei reati di
rapina "sulla base del rilevamento delle celle telefoniche, senza
avere alcuna certezza della presenza fisica del ricorrente sui luoghi
delle avvenute rapine ...; la disponibilità del telefonino cellulare
ben poteva averla altra persona ...".
Richiama le risultanze degli interrogatori di Fiorella Fabio e si
sofferma su quelle relative alla individuazione dei siti localizzati.
Soggiunge che, essendo stato "installato sulla vettura Alfa 147 il
GPS ...", nessun elemento di riscontro esterno aveva dato la certezza
che quel veicolo fosse da lui condotto.
Conclude, sul punto, rilevando che egli non poteva far parte
dell'associazione contestata dal 28 aprile 2008 al 30 gennaio 2009,
poiché era detenuto per altro titolo sin dal 24 novembre 2008 e
posto, poi, agli arresti domiciliari il 26 maggio 2009
ininterrottamente e scarcerato l'8 luglio 2009;
f) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 273, quanto al
reato di cui al capo n) della imputazione (detenzione e porto
illegale di una pistola).
Assume che il Tribunale gli aveva attribuito tale reato,
illegittimamente traendo gravi elementi indiziali da una
conversazione intercorsa tra Gaetano Spera e Mascolo Francesco,
il cui contenuto critica nella ritenuta inducenza alla sussistenza
del grave quadro indiziario;
g) vizi di violazione di legge e di motivazione, "in relazione al
montaggio del GPS senza l'autorizzazione e/o tardiva ... in
violazione dell'art. 191 c.p.p. dei risultati di tutte le mappe
acquisite dal rilevamento GPS montato sull'autovettura Alfa 147 ...
in uso al Lasala".
Al riguardo il Tribunale del riesame avrebbe reso una motivazione "a
dir poco scioccante", illegittimamente ritenendo che "il montaggio
del GPS sull'autovettura del ricorrente è servito per la ricerca
della prova", mentre "la figura del ricorrente emerge solo il 29
luglio 2008 con le dichiarazioni del Fiorella ..." e "le
autorizzazioni documentate alle intercettazioni telefoniche sono
dell'1.8.2008 e l'autorizzazione del montaggio del GPS è
dell'8.8.2008 e autorizzata il 4.12.2008 ...: quattro mesi dopo aver
installato sulle autovetture il GPS veniva autorizzata
l'installazione del GPS", il che "rende illegittimi tutti gli atti
acquisiti, quali le mappe ritraenti la localizzazione del veicolo ...
per violazione dell'art. 191 c.p.p.";
h) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 274 c.p.p.:
assume che illegittimamente i giudici del merito avevano ritenuto la
inadeguatezza della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari.
2.1. Il difensore del ricorrente ha prodotto "note d'udienza e motivi
nuovi".
Ribadisce, in sostanza, le ragioni del ricorso, quanto alla mancanza
di motivazione del provvedimento custodiale, alla "inutilizzabilità
del materiale intercettato", alla insussistenza del reato
associativo.
3.0. La Seconda Sezione penale di questa Suprema Corte, cui il
processo era stato assegnato, con ordinanza resa all'udienza del 15
gennaio 2010, ha disposto la rimessione del ricorso a queste Sezioni
Unite.
Premesso che "tra le numerose questioni proposte all'esame della
Corte si pone come preliminare ... quella concernente l'asserita
inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni telefoniche
che hanno fornito agli inquirenti gli elementi sui quali è fondata
la proposizione accusatoria ...", ricorda che "la ragione della
denunciata inutilizzabilità è ravvisata, dal difensore ricorrente,
nel fatto che non furono posti a sua disposizione, prima dell'udienza
di riesame, i supporti contenenti le registrazioni e non venne,
pertanto, consentita allo stesso difensore la verifica della
corrispondenza delle trascrizioni di queste registrazioni con quanto
desumibile dall'ascolto diretto dei dialoghi intercettati...".
Richiama, quindi, la sentenza della Corte Costituzionale del 10
ottobre 2008, n. 336, rilevando che il contenuto di tale decisione
"si è esaurito ... nella affermazione della sussistenza del diritto
difensivo ad ottenere una copia della traccia fonica ... Senza che
per quanto concerne la pratica attuazione di questo diritto siano
state fornite indicazioni".
Avendo dovuto "l'interprete ... calare la solenne affermazione del
principio nella concreta realtà processuale", al riguardo sono
intervenute sentenze di legittimità approdate ad esiti diversi e
contrastanti: Sez. 6^, 6 novembre 2008, n. 44127; Sez. 6^, 26 maggio
2009, n. 19150; Sez. 2^, 18 dicembre 2009, n. 4021/2010.
3.1. Il Presidente aggiunto, con provvedimento del 22 febbraio 2010,
ha fissato l'odierna udienza per la discussione del gravame.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.0 Deve, innanzitutto, rilevarsi la ritualità del ricorso
(tempestivamente proposto).
Esso è stato sottoscritto personalmente dall'indagato, con firma
autenticata dall'avv. Sasso Maria Teresa, non iscritta all'albo
speciale di cui all'art. 613 c.p.p., e dalla stessa poi depositato
presso il Tribunale del riesame; il ricorrente era a quel momento
detenuto.
Al riguardo, hanno chiarito queste Sezioni Unite (sentenza 29 maggio
1992, n. 8141) che, nel caso in cui l'atto di impugnazione di una
parte privata sia presentato in cancelleria da un incaricato, non
occorre l'autentica della sottoscrizione dell'impugnante, giacché
l'art. 582 c.p.p., che gli attribuisce la facoltà di avvalersi di un
incaricato per la presentazione del relativo atto, non richiede
siffatta formalità (cfr. anche, da ultimo, ex ceteris, Sez. 6^, 12
febbraio 2009, n. 7514).
E, sulla scorta e nell'ambito di tale principio, s'è anche
ulteriormente chiarito che l'incarico alla presentazione del gravame
non deve necessariamente sostanziarsi in un formale atto di delega,
potendo esso essere anche orale, l'incarico, in sostanza, potendosi
ritenere e presumere ogni qualvolta, in ragione del rapporto
dell'incaricato con il titolare del potere di impugnazione, si abbia
la piena garanzia circa l'autenticità della sottoscrizione (ex
plurimis, Sez. 5^, 4 febbraio 2002, n. 12162; Sez. 2^, 12 giugno
2002, n. 35345; Sez. 6^, 29 ottobre 2003, n. 8/2004; Sez. 2^, 7
luglio 2006, n. 29608; Sez. 5^, 25 settembre 2006, n. 506/2007; Sez.
5^, 11 gennaio 2007, n. 8096; Sez. 6^, 26 febbraio 2007, n. 4947;
Sez. 1^, 23 aprile 2007, n. 5045).
Alla luce di tali principi, che vanno qui ribaditi, nella specie, il
rapporto difensivo fiduciario, nella sede di merito, tra l'impugnante
e la presentatrice dell'atto di gravame, da contezza della
autenticità della sottoscrizione dell'atto medesimo e del
conseguente incarico a presentarlo.
3.1. Il contraddittorio si è ritualmente instaurato in questa sede.
L'avviso per l'odierna udienza camerale è stato, difatti,
ritualmente e tempestivamente notificato al difensore di fiducia
nominato ed a quel momento investito del mandato difensivo.
Solo tre giorni prima dell'udienza, il 19 aprile 2010, il ricorrente
ha nominato altro difensore di fiducia, "revocando tutte le
precedenti nomine".
Ma, essendo stati già espletati tutti gli incombenti di cui all'art.
610 c.p.p., comma 5, era onere del sopravvenuto difensore, notiziato
dalla parte, di comparire in udienza senza alcun avviso.
4.0. Tanto premesso, il primo profilo di censura (sub a), supra) è
destituito di fondamento.
Il provvedimento impositivo della misura custodiale, infatti, ha
richiamato "il quadro indiziario esposto dal P.M. (che) riporta in
sintesi l'informativa finale dei CC. di Barletta in data 5.6.09", ed
ha diffusamente e compiutamente evidenziato le circostanze fattuali
alla stregua delle quali il giudice ha ritenuto la sussistenza del
grave quadro indiziario.
Correttamente l'ordinanza impugnata ha richiamato i principi
reiteratamente affermati da questa Suprema Corte, in tema di
legittima motivazione per relationem (Sez. Un., 21 giugno 2000, n.
17; e, ex ceteris, Sez. 4^, 14 novembre 2007, n. 4181/2008; Sez. 5^,
29 settembre 2003, n. 39219; Sez. 3^, 27 novembre 2002, n.
2125/2003;; Sez. 4^, 25 giugno 2002, n. 34913): il provvedimento
impositivo della misura cautelare, difatti, ha fatto riferimento ad
un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione si è
logicamente ritenuta congrua rispetto all'esigenza di giustificazione
propria del provvedimento di destinazione; il giudice ha mostrato di
aver preso cognizione del contenuto sostanziale dell'atto di
riferimento e di averlo meditato, valutandolo coerente con la
decisione da lui assunta; l'atto di riferimento è stato riportato
nel suo contenuto ritenuto rilevante ai fini della decisione assunta
ed è, in tali contenuti, conosciuto dall'interessato, a lui
ostensibile al momento in cui se ne è reso attuale l'esercizio della
facoltà di valutazione.
E, ciò posto, è del tutto infondato l'assunto, secondo cui la
motivazione per relationem sarebbe consentita in tema di motivazione
dei decreti autorizzativi alle intercettazioni, ma non di un
provvedimento cautelare: ne' spiega il ricorrente perché mai quel
principio, che ha invece valenza generale, dovrebbe avere tale
ridotta efficacia esplicativa.
D'altra parte, i giudici del merito hanno anche, del tutto
correttamente, richiamato il principio, pur esso reiteratamente
affermato da questa Suprema Corte, secondo cui l'ordinanza del
tribunale del riesame si integra con quella applicativa della misura
cautelare, dando vita ad un provvedimento unitario sotto il profilo
motivazionale, sicché il giudice del riesame può integrare (e anche
correggere) la motivazione del provvedimento impugnato (tra altre,
Sez. Un., 17 aprile 1996, n. 7; Sez. 2^, 18 dicembre 2007, n. 3103;
Sez. 1^, 6 dicembre 2007, n. 266/2008; Sez. 2^, 23 gennaio 1998, n.
672; Sez. 2^, 28 novembre 2007, n. 774/2008; Sez. 2^, 21 novembre
2006, n. 6322/2007; Sez. 5^, 7 dicembre 2006, n. 3255/2007; Sez. 6^,
16 gennaio 2006, n. 8590; Sez. 2^, 4 dicembre 2006, n. 1102/2007;
Sez. 5^, 8 ottobre 2003, n. 40608; Sez. 6^, 6 maggio 2003, n. 32359):
ed il provvedimento qui gravato ha dato ampia, diffusa, puntuale e
coerente contezza delle ragioni apprezzate nel pervenire al
divisamento espresso.
5.0. Quanto al secondo motivo di doglianza (sub b), supra), il
ricorrente assume, come si è sopra ricordato, che "il mancato
deposito presso il Tribunale del riesame dei supporti informatici e
(de)i brogliacci delle conversazioni telefoniche è causa di nullità
e (di) perdita di efficacia della misura cautelare, atteso che
l'ordinanza è basata sulle intercettazioni telefoniche ...".
Per quanto riguarda i "brogliacci", il rilievo è infondato.
Invero, deve innanzitutto rilevarsi che il G.I.P. ben può porre a
fondamento del provvedimento di applicazione della misura cautelare
il contenuto delle intercettazioni telefoniche, anche se compendiate
in "brogliacci", ovvero riportate in forma riassuntiva, pur se non
trascritte o sommariamente trascritte con semplici riferimenti
riassuntivi (cfr. Sez. 4^, 26 maggio 2004, n. 39469; Sez. 6^, 28
marzo 2002, n. 20715/2003; Sez. 6^, 3 marzo 2000, n. 1106; Sez. 1^,
28 aprile 1999, n. 3289; Sez. 6^, 18 marzo 1998, n. 985; Sez. 6^, 16
maggio 1997, n. 1972); e l'omesso deposito del "brogliaccio" non è
sanzionato da alcuna nullità, o inutilizzabilità, delle
intercettazioni (Sez. 6^, 26 novembre 2009, n. 49541; Sez. 4^, 21
gennaio 2004, n. 16890): nella specie, sono stati puntualmente
richiamati i contenuti delle intercettazioni, ritenuti rilevanti ai
fini che occupano, altrettanto puntualmente esaminati e delibati
nella loro valenza indiziante ai fini della emissione del
provvedimento cautelare.
6.0. Quanto all'altro profilo della doglianza, concernente il mancato
accesso ai supporti magnetici relativi alle conversazioni captate,
che sono state poste a fondamento del provvedimento impositivo della
misura custodiale e del provvedimento impugnato, esso rimanda alla
questione per la quale il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni
Unite: quali effetti, cioè, sulla procedura di riesame abbiano il
diniego ingiustificato o il mancato esame da parte del pubblico
ministero della richiesta difensiva di ottenere copia delle
registrazioni delle comunicazioni intercettate, le cui trascrizioni
sintetiche (i c.d. "brogliacci di ascolto") siano state poste a
fondamento dell'ordinanza applicativa della misura cautelare
personale.
Com'è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza dell'8-10 ottobre
2008, n. 336, ha dichiarato la illegittimità costituzionale
dell'art. 268 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, dopo la
notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura
cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su
nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni
intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento
cautelare, anche se non depositate.
Il Giudice delle leggi ha ricordato che, alla stregua del diritto
vivente, in tal senso essendo orientata la costante ed uniforme
giurisprudenza di legittimità, "in caso di incidente cautelare, se
il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari
richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può
depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i "brogliacci" e
non le registrazioni delle comunicazioni intercettate"; e che "la
trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta
di una conversazione, ma va considerata solo come un'operazione
rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite
mediante la registrazione fonica".
Ha, quindi, considerato come "l'ascolto diretto delle conversazioni o
comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle
trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia
giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito dettato
legislativo (art. 268 c.p.p., comma 2), anche sommarie", rilevando
che "la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i
"brogliacci" a supporto di una richiesta di custodia cautelare
dell'indagato, se giustificata dall'esigenza di procedere senza
indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito
assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa di
accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza
probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a
richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo
della libertà personale".
Ha, altresì, considerato che, "in caso di richiesta ed applicazione
di misura cautelare personale ..., le esigenze di segretezza per il
proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza
sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a
base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato
rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico
ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate
dalla polizia giudiziaria": e dunque, "la lesione del diritto di
difesa garantito dall'art. 24 Cost., comma 2, si presenta quindi
nella sua interezza, giacché la limitazione all'accesso alle
registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale
riconosciuto dalla legge".
Ha, quindi, sottolineato che "l'interesse costituzionalmente protetto
della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base
del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente
tutti i rimedi previsti dalle norme processuali"; ne consegue,
conclusivamente, che "i difensori devono avere il diritto
incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste
a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a
corredo di quest'ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni,
anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria"; ed "il diritto
all'accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la
trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime".
Il conseguimento di tale diritto - ha ulteriormente rilevato la Corte
- non può essere assicurato con il ricorso all'art. 116 c.p.p.,
giacché "la suddetta norma ..., vista congiuntamente all'art. 43
disp. att. c.p.p., non attribuisce - secondo la giurisprudenza di
legittimità - un diritto incondizionato alla parte interessata ad
ottenere copia degli atti, ma solo una mera possibilità ...".
6.1. Mette conto, quindi, di osservare da subito che il diritto
"costituzionalmente protetto della difesa ... di conoscere le
registrazioni poste a base del provvedimento eseguito", con
conseguente possibilità di ottenere copia della traccia fonica, è
"diritto incondizionato", il cui esercizio è preordinato "allo scopo
di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme
processuali".
L'intervento della Corte Costituzionale (che ha richiamato anche il
principio dalla stessa espresso nella propria sentenza del 17-24
giugno 1997, n. 192, che ebbe a dichiarare la illegittimità
costituzionale dell'art. 293 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non
prevedeva la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme
all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta
del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa) ha
riguardato, come s'è detto, solo l'art. 268 c.p.p., in tema di
esecuzione delle operazioni di intercettazione; integro, perciò,
rimane (tra gli altri, e per quel che nella specie più direttamente
interessa) l'assetto normativo delineato dall'art. 309 dello stesso
codice di rito, in tema di riesame delle ordinanze che dispongono una
misura coercitiva, ma è di tutta evidenza come quella regola
affermata dal Giudice delle leggi incida, poi, (anche) sulla
procedura di riesame, segnatamente sotto il versante dell'esercizio
del diritto di difesa, delle prospettazioni di merito in quella sede
proponibili, del controllo attuale del giudice sulla sussistenza
degli elementi giustificativi della imposta misura cautelare, alla
stregua della evidenza procedimentale delineata e concretizzata dagli
atti tutti al riguardo presentati dal pubblico ministero a supporto
della richiesta di emissione del provvedimento coercitivo:
inequivoco, d'altronde, è il riferimento della Corte Costituzionale
a "tutti i rimedi previsti dalle norme processuali".
L'intervento della Corte si è verificato nell'ambito di una domanda
de libertate di sostituzione o revoca della misura della custodia
cautelare, ma non può sorger dubbio che quell'affermato dictum
decisivamente rilevi anche nel contesto della procedura di riesame,
nella quale si tratta di valutare la sussistenza o meno dei
presupposti geneticamente legittimanti la imposta misura cautelare.
6.2. La decisione della Corte Costituzionale è intervenuta in un
quadro normativo costantemente ed uniformemente valutato ed
interpretato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte.
In particolare, come ha richiamato il Giudice delle leggi, questa è
stata continuativamente orientata nel senso di ritenere legittimo
che, a supporto della richiesta di misura cautelare, il pubblico
ministero possa presentare al giudice per le indagini preliminari
solo i "brogliacci" relativi alle conversazioni captate e non anche
le relative trascrizioni, in un contesto in cui si è pacificamente
ritenuto che la trascrizione delle intercettazioni telefoniche non
costituisce prova o fonte di prova, ma solo un'operazione meramente
rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova acquisita
con la registrazione fonica, della quale il difensore può far
eseguire la trasposizione su nastro magnetico, ai sensi dell'art. 268
c.p.p., comma 8.
Si è costantemente affermato, quindi, che il giudice per le indagini
preliminari ben può porre a fondamento dell'ordinanza cautelare il
contenuto delle intercettazioni telefoniche, anche se contenute in
"brogliacci" o riportate in forma riassuntiva, pur se non trascritte,
altrettanto costantemente rilevandosi che la sanzione di
inutilizzabilità prevista dall'art. 271 c.p.p. consegue solo nelle
ipotesi ivi tassativamente indicate, riguardanti l'inosservanza delle
disposizioni previste dall'art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1
e 3 (cfr., tra molteplici altre, Sez. 4^, 26 maggio 2004, n. 39469;
Sez. 5^, 9 luglio 2003, n. 34680; Sez. 6^, 28 marzo 2002, n.
20715/2003; Sez. 1^, 23 gennaio 2002, n. 7406; Sez. 6^, 3 marzo 2000,
n. 1106; Sez. 1^, 26 novembre 1998, n. 5903/1999; il principio è
stato da ultimo ribadito da Sez. 6^, 23 ottobre 2009, n. 2930/2010).
In tale contesto, pure si è rilevato e chiarito che "il deposito di
cui all'art. 268 c.p.p., comma 4 rientra nella procedura finalizzata
alle successive operazioni di stralcio eventuale e di trascrizione da
effettuarsi in contraddittorio delle parti, ai fini dell'inserimento
nel fascicolo per il dibattimento, come tale del tutto distinta dalla
procedura incidentale de libertate, ove non di deposito ... è a
parlarsi, ma di allegazione agli atti posti a fondamento della
misura.
Trattasi, perciò, di incombenti a finalità diverse, con scansioni
temporali non coincidenti (l'epoca del deposito, invero, prescinde
del tutto da quella di celebrazione del procedimento cautelare di
regola anteriore) e con oggetti non necessariamente coincidenti (il
deposito riflette tutto il materiale relativo alle operazioni..., nel
mentre la allegazione ai fini cautelari può riguardare solamente le
trascrizioni sommarie del contenuto delle comunicazioni o gli appunti
raccolti durante le intercettazioni)" (Sez. Un., 27 marzo 1996, n. 3;
Sez. Un., 20 novembre 1996, n. 21/1997; Sez. 6^, 8 ottobre 1998, n.
2911; Sez. 6^, 3 giugno 2003, n. 35090).
È stato anche puntualizzato che non solo è da escludere la
necessità del deposito, ex art. 268 c.p.p., in vista della
utilizzazione a fini cautelari, dei risultati delle registrazioni, ma
anche la necessità che il pubblico ministero alleghi alla richiesta
di emissione del provvedimento cautelare il verbale e la
registrazione relativi alle operazioni di intercettazione,
ravvisandosi, in sostanza, una sorta di "presunzione d'esistenza e di
conformità", senza la necessità di un controllo giurisdizionale
sulla effettiva sussistenza di tale documentazione, dalla quale
discende la validità della prova; ciò sul rilievo che l'art. 271
c.p.p. non menziona l'art. 89 disp. att. c.p.p., essendo, perciò,
consentito di utilizzare a fini cautelari i dati conoscitivi tratti
dalle captazioni effettuate, senza che il pubblico ministero sia
tenuto a produrre, ne' al giudice per le indagini preliminari, ne',
eventualmente, al tribunale del riesame, la relativa documentazione
(id est, i verbali contenenti le trascrizioni sommarie e le bobine
registrate) (Sez. 6^, n. 2911/1998, cit.; Sez. 6^, 21 gennaio 1999,
n. 208; sulla esclusione della sanzione di inutilizzabilità per
l'inosservanza del precitato art. 89 disp. att. c.p.p. v., da ultimo,
Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 36539).
In definitiva, si è ritenuto che il pubblico ministero non sia
tenuto a trasmettere al tribunale del riesame anche le registrazioni
delle conversazioni intercettate, posto che, ai sensi dell'art. 309
c.p.p., comma 5, egli è tenuto a trasmettere solo gli atti da lui
prodotti con la richiesta di applicazione della misura cautelare; la
difesa poteva accedere a tale documentazione, ma non anche alle
registrazioni delle comunicazioni intercettate, giacché il deposito
di queste è disciplinato dall'art. 268 c.p.p., comma 4, con la
predeterminazione delle sequenze temporali ivi indicate e la
possibilità di proroga.
6.3. Su tale assetto normativo, come univocamente interpretato dalla
costante giurisprudenza di legittimità, è, dunque, intervenuta la
pronuncia della Corte Costituzionale; la quale, dichiarando la
parziale illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p., nei
termini sopra ricordati, ha stabilito ora il diritto della parte ad
accedere alle registrazioni effettuate, utilizzate ai fini cautelari,
anche prima del loro deposito ai sensi del quarto comma della stessa
norma; così stabilendo, in sostanza, un obbligo per il pubblico
ministero, a richiesta della parte, di completa discovery del mezzo
di prova utilizzato ai fini della imposizione della misura cautelare,
con l'effetto, tra l'altro, di configurare, sia pure limitatamente
alla sola materia delle intercettazioni, il diritto previsto
dall'art. 293 c.p.p., comma 3, non più solo come strumento di
conoscenza degli elementi su cui è fondata l'ordinanza cautelare, ma
come diritto alla piena conoscenza degli elementi che il giudice ha
utilizzato nell'emettere il provvedimento restrittivo della libertà
personale.
L'ordinanza di rimessione, nel procedimento che occupa, ha
pertinentemente rilevato, come si è sopra ricordato, che la
pronuncia della Corte "non ha potuto estendersi agli aspetti,
problematici, di concretezza che la sua attuazione ha immediatamente
posto all'attenzione degli operatori e degli interpreti", ed "il
contenuto della decisione della Corte si è, pertanto, esaurito nella
affermazione della sussistenza del diritto difensivo ad ottenere
copia della traccia fonica ... Senza che per quanto concerne la
pratica attuazione di questo diritto siano state fornite
indicazioni".
Tanto, in effetti, appare anche sollecitare il legislatore a
rimeditare, con espressa previsione normativa, l'assetto
dell'istituto in questione, sulla scia di quanto talora suggerito in
dottrina e di quanto inizialmente prefigurato al riguardo nel
progetto preliminare del codice di procedura penale, ove, in tema di
esecuzione delle operazioni di intercettazione, nell'originario art.
268, comma 5 a proposito del deposito dei verbali e delle
registrazioni, era previsto che, "tuttavia, se le intercettazioni
vengono utilizzate per il compimento di singoli atti delle indagini
preliminari, il deposito deve avvenire entro cinque giorni dal
compimento dell'atto".
La illegittimità costituzionale della norma in questione è stata
dichiarata sul presupposto che le "registrazioni poste a base della
richiesta del pubblico ministero" non siano state "presentate a
corredo di quest'ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni,
anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria".
Su tali indotti aspetti problematici sono intervenute pronunce
contrastanti dalle sezioni semplici di questa Suprema Corte,
soprattutto per quanto riguarda gli effetti della violazione del
diritto di accesso in sede di riesame.
Con sentenza della Sez. 6^, 6 novembre 2008, n. 44127, si è ritenuto
che l'inadempimento della richiesta di accesso, in quanto atto
sopravvenuto, può esser fatto valere solo innanzi al giudice che ha
emesso il provvedimento. Si è rilevato che "una corretta lettura dei
termini della sentenza ... della Corte Costituzionale ..., impone di
considerare che, trattandosi di un diritto riconosciuto dalla
Consulta alla difesa, attinente ad una fase successiva all'emissione
del provvedimento di cautela, non sembra che l'inadempimento della
richiesta comporti ex tunc la caducazione della misura".
Si è, quindi, affermato che "l'atto non può che essere richiesto al
G.I.P., dovendo il giudice del riesame operare solo in fase di
controllo sul provvedimento impositivo al momento del deposito degli
atti ex art. 293 c.p.p., trattandosi degli stessi atti posti a base
della misura, ancorché "deprivati" della sintesi conseguente
all'utilizzazione dei brogliacci che restano, in ogni caso,
utilizzabili in competente sede".
Altra sentenza della Sez. 6^, 7 maggio 2009, n. 29386, ha ricordato
il principio sopra affermato, secondo cui "la richiesta volta ad
ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di
conversazioni o comunicazioni utilizzate ai fini dell'adozione di un
provvedimento cautelare deve essere presentata al giudice che ha
adottato la relativa misura coercitiva e non al tribunale del
riesame", ed ha ritenuto che "tale principio non può che essere
riaffermato nel suo significato complessivo con la precisazione che
la richiesta deve essere rivolta al pubblico ministero, nella cui
disponibilità materiale e giuridica sono i documenti in questione
nella fase delle indagini".
Ha rilevato che "il pubblico ministero, dominus della fase
investigativa, è l'unico abilitato, nell'ambito della proceduta
atipica configurata dalla sentenza costituzionale, a verificare
eventuali limiti, collegati essenzialmente alla tutela della
riservatezza di altri soggetti coinvolti nelle registrazioni delle
conversazioni ed estranei ai fatti e alla segretezza delle indagini
per registrazioni di conversazioni non ancora ostensibili: situazioni
che possono incidere ... sulle modalità e tempi per provvedere al
materiale rilascio delle copie".
Ha ulteriormente osservato che il decisum della Corte Costituzionale
"non incide anzitutto sulla validità dell'ordinanza cautelare e,
poi, sulla procedura di riesame e sui tempi in cui deve essere
conclusa e non può essere oggetto di richiesta al giudice della
procedura incidentale, il quale non ha la disponibilità del nastro
magnetico, e deve decidere su quanto posto a fondamento
dell'ordinanza e su eventuali produzioni della difesa, tra i quali
rientra anche il nastro magnetico ottenuto dalla difesa".
Ha altresì osservato che l'interesse della difesa a "conoscere le
registrazioni poste a base del provvedimento eseguito, allo scopo di
esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme
processuali", non è "tale, però, da integrare una regola che possa
invalidare l'epilogo della richiesta cautelare e, in ogni caso,
ritardare i tempi di definizione della procedura di riesame.
La difesa, una volta ottenuta la copia del supporto magnetico e
verificate le asserite incongruenze con i contenuti del c.d.
"brogliaccio" è abilitata, in relazione al novum, a proporre ogni
ulteriore rimedio incidentale previsto dalla legge processuale".
La sentenza della Sez. 3^, 30 settembre 2009, n. 41256, ha esaminato
una fattispecie in cui, sulla richiesta di ottenere copia su supporto
magnetico delle registrazioni, il pubblico ministero aveva provveduto
"dopo ben 76 giorni", rigettando la richiesta sulla "semplice
motivazione" che "l'art. 268 c.p.p. non prevede la facoltà di avere
copia delle tracce audio".
La Corte ha escluso che il tribunale "avesse la facoltà di
sospendere o rinviare il procedimento ...".
Ha osservato che la decisione della Corte Costituzionale "stabilisce
un principio generale a tutela del diritto di difesa, ma non è
entrata in merito alle discrasie con altre contrarie disposizioni di
carattere normativo ... ; la legge impone al tribunale per il riesame
di decidere entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta e
degli atti del P.M., ma non prevede la possibilità, in caso di
richiesta di ulteriori atti da parte del difensore, di sospendere il
procedimento o di rinviarlo oltre il decimo giorno ...; l'alternativa
è quella di annullare la misura per la mancata trasmissione degli
atti entro i termini prescritti, ovvero decidere in base agli atti in
suo possesso".
Ha ritenuto che "va esclusa la prima ipotesi", rilevando, tra
l'altro, che "nella specie non trattavasi di elementi sopravvenuti:
egli (il P.M.) aveva trasmesso i brogliacci e le trascrizioni delle
conversazioni" e "quindi la richiesta di copia dei nastri magnetici
esulava da tali atti, non trattandosi di nuovi elementi di prova;
il mancato rilascio delle copie non atteneva all'inefficacia del
provvedimento cautelare, ma, teoricamente, alla regolarità della
procedura di riesame, causata dalla discrasia sopra evidenziata
attribuibile al P.M.".
Ha ritenuto, quindi, che "correttamente il tribunale decise allo
stato degli atti", soggiungendo che "ciò non pregiudica i diritti
della difesa, che potrà azionare i rimedi consentiti per ottenere le
copie delle bobine, ed in base ad esse presentare eventuale domanda
di revoca della misura".
Altra sentenza della Sez. Feriale, 10 settembre 2009, n. 37151, ha
osservato che, in quella fattispecie, la richiesta di trasposizione
su nastro magnetico delle conversazioni intercettate era stata
effettuata ad "immediato ridosso ... dell'udienza camerale per il
riesame", e "le rigide cadenze previste per l'udienza di riesame non
consentivano di ritenere che la presentazione dell'istanza fosse
avvenuta in tempo utile perché il P.M. fosse in grado di soddisfare
la richiesta del difensore e questi, a sua volta, potesse porre
tempestivamente a disposizione del tribunale del riesame - ove
necessario - le registrazioni stesse che il P.M. non è obbligato a
trasmettere al giudice".
Ha rilevato che la intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale
non può condurre a ritenere la inutilizzabilità delle
intercettazioni, giacché "non è stato ... intaccato in alcun modo
... il preciso disposto dell'art. 271 c.p.p.".
Il tema del diniego opposto alla richiesta difensiva di accesso alle
registrazioni, e dei conseguenti effetti, è stato ripreso, poi,
nella sentenza Sez. 1^, 14 gennaio 2010, n. 46414.
Si è, ivi, ritenuto che "non vi è dubbio che il diniego della
richiesta ... di autorizzazione ad estrarre il supporto audio delle
tre intercettazioni ambientali integra una nullità di ordine
generale ... .
Ma tale nullità va inquadrata in quelle generali a regime intermedio
previste dall'art. 178 c.p.p., di guisa che, non risultando dal
verbale di udienza che tale nullità sia stata tempestivamente
eccepita, la stessa non può essere rilevata o dedotta ai sensi
dell'art. 180 c.p.p.".
Tanto era stato affermato da altra sentenza della Sez. 1^, 10
novembre 2009, n. 44226, la quale ha confermato che dalla lesione del
diritto di accesso "consegue, indiscutibilmente, in linea di
principio la nullità generale del procedimento ai sensi dell'art.
178 c.p.p., comma 1, lett. c)".
Sulla scorta di tale principio altre pronunce sono pervenute a
statuizioni di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Così Sez. 3^, 9 novembre 2009, n. 46704, ha rilevato che "il diritto
di accesso del difensore alle trascrizioni può essere compromesso
momentaneamente nel caso in cui le stesse non possano essere
rilasciate entro il termine fissato per espletare il procedimento
sulla libertà.
La violazione del diritto di difesa non trova, invece,
giustificazione quando l'interessato ha chiesto tempestivamente i
supporti ed il pubblico ministero, in tempo utile, ha preso in
considerazione la istanza e l'ha respinta con incongrua motivazione".
Ad identiche conclusioni sono pervenute Sez. 6^, 26 marzo 2009, n.
19150; Sez. 5^, 24 giugno 2009, n. 39930; Sez. 2^, 18 dicembre 2009,
n. 4021/2010, in questa, tra l'altro, rilevandosi che gli atti di
intercettazione conservano la loro validità, ma possono essere
"considerati come elementi probatori solo quando la difesa avrà la
concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata
agli schemi riassuntivi e alle trascrizioni effettuate dalla p.g.".
In tali decisioni, tuttavia, non si è specificamente indicato quale
debba essere poi l'attività espletanda dal giudice del rinvio e le
statuizioni che allo stesso competono.
7.0. In tale rappresentato panorama giurisprudenziale, è, dunque,
necessario che, nel mutato quadro normativo in parte qua determinato
dalla intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale, vengano
esaminati i singoli profili, contenuti e momenti nei quali si
inserisce e va salvaguardato l'effettivo esercizio del diritto di
accesso riconosciuto dal Giudice delle leggi e le conseguenze che il
suo mancato riconoscimento determina nei procedimenti de libertate.
7.1. Innanzitutto, deve rilevarsi che il diritto di accesso, così
come configurato dalla Corte Costituzionale, è riconosciuto solo al
difensore: soltanto a questo, difatti, l'art. 268 c.p.p., comma 6,
riconosce "la facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le
registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di
comunicazioni informatiche o telematiche"; e, quanto al procedimento
di riesame, l'art. 309 c.p.p., comma 8, ancora una volta riconosce
solo al difensore la facoltà di esaminare gli atti e di estrarne
copia; solo al diritto di accesso del difensore ha fatto riferimento
la sentenza della Corte Costituzionale.
7.2. Quanto all'autorità giudiziaria cui spetta il rilascio della
copia, non può sorger dubbio che questa vada identificata nel
pubblico ministero che procede.
Nella sua disponibilità materiale e giuridica, difatti, si trovano i
documenti in questione nella fase delle indagini, come puntualmente
rilevato da Sez. 6^, 7 maggio 2009, n. 28386, cit; e solo il pubblico
ministero è in grado di procedere alla selezione delle registrazioni
all'uopo rilevanti, nell'intero contesto di tutte quelle effettuate,
ad individuare solo quelle poste a fondamento della richiesta della
misura cautelare ed a verificare, quindi, gli eventuali limiti al
rilascio delle copie richieste, in relazione alla tutela della
riservatezza di altri soggetti estranei ai fatti, le cui
conversazioni siano state captate, o a contenuti delle registrazioni
che non siano rilevanti ai fini che occupano.
In tal senso anche Sez. 3^, 30 settembre 2009, n. 41256, cit;
sostanzialmente Sez. 5^, 24 giugno 2009, n. 39930, cit.; Sez. 6^, 26
marzo 2009, n. 19150, cit..
È erroneo, quindi, l'assunto del provvedimento impugnato, secondo
cui (richiamandosi la sentenza della Sez. 6^, 6 novembre 2008, n.
44127, cit.) "la richiesta intesa ad ottenere la trasposizione su
nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni
utilizzate ai fini dell'adozione di un provvedimento cautelare
personale dev'essere presentata al giudice che ha applicato la misura
coercitiva".
7.3. Il diritto alla acquisizione della copia può concernere solo le
intercettazioni i cui esiti captativi siano stati posti a fondamento
della richiesta della emissione del provvedimento cautelare; non
altri, ne' tampoco diversi esiti captativi che concernono persone
diverse dall'indagato e che non rilevano al fine di valutare la
posizione indiziaria di quest'ultimo.
7.4. Tale diritto è esercitarle dopo la notificazione o l'esecuzione
dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, come
espressamente specificato dalla Corte Costituzionale.
Essendo esso finalizzato ad "esperire efficacemente tutti i rimedi
previsti dalle norme processuali", non è dato individuare un termine
ad quem nella proposizione dell'atto che quel rimedio sollecita, in
particolare nella proposizione della richiesta di riesame, nel senso,
cioè, che quella istanza debba necessariamente intervenire prima
della richiesta di riesame: nessun termine perentorio al riguardo è
ravvisabile ai sensi dell'art. 173 c.p.p.; la richiesta di riesame
può non enunciare i motivi della sua proposizione (art. 309 c.p.p.,
comma 6) e può riguardare anche profili ulteriori e diversi da
quello in questione.
7.5. Assumendosi, poi, nella ordinanza impugnata, che la Corte
Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale
dell'art. 268 c.p.p., "senza però stabilire alcun termine entro il
quale tale adempimento debba essere assolto", deve innanzitutto
rilevarsi che al diritto del difensore di accedere alle registrazioni
corrisponde un obbligo del pubblico ministero di assicurarlo.
La Corte, difatti, ha configurato tale diritto come "incondizionato",
rilevando che, come si è già ricordato, "le esigenze di segretezza
per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di
riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle
comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui
contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte
del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni
effettuate dalla polizia giudiziaria".
E proprio da tanto ha tratto la conclusione che la pregressa
normativa, che tale accesso in quella fase e stato del procedimento
non assicurava, ledeva il diritto di difesa costituzionalmente
presidiato dall'art. 24 Cost., comma 2, ed il principio di parità
delle parti nel processo sancito dall'art. 111 Cost., comma 2.
L'inottemperanza a tale obbligo può comportare responsabilità
disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme processuali
richiamato dall'art. 124 c.p.p., e, ove ne sussistano le condizioni
di legge, anche penali (si veda il principio affermato da Sez. Un.,
24 settembre 2009, n. 40538, a proposito della tardiva iscrizione nel
registro di cui all'art. 335 c.p.p., ivi statuendosi che "gli
eventuali ritardi ... sono privi di conseguenze" in quel caso, "fermi
restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o
penale").
7.6. Ciò posto, è vero che manca la espressa indicazione di un
termine entro il quale quella richiesta debba essere esaudita (e,
deve ritenersi, a tanto non poteva procedere la Corte
Costituzionale).
Nè è condivisibile l'opinione espressa da una voce della dottrina,
secondo cui, dovrebbe trovare applicazione il termine di cinque
giorni indicato dall'art. 268 c.p.p., comma 4: questo, infatti,
attiene al termine (con possibilità di proroga) in cui devono essere
depositati in segreteria i verbali e le registrazioni in riferimento
alla conclusione delle operazioni, ed afferisce, quindi, ad aspetti,
momenti e materia non sovrapponibili a quelli che rilevano nel tema
che qui occupa.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che la Corte ha esaminato la
questione "in caso di incidente cautelare", riconoscendo il diritto
dell'istante ad ottenere le copie richieste "allo scopo di verificare
la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico
ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento
restrittivo della libertà personale": e la acquisizione delle
"registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito" è
finalizzata "allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi
previsti dalle norme processuali".
Essendo, dunque, la richiesta della copia finalizzata ad esperire il
diritto di difesa nel procedimento incidentale de libertate, ne
consegue che essa deve essere rilasciata, comunque, in tempo utile
perché quel diritto di difesa possa essere in quella sede
esercitato.
Del tutto condivisibilmente ha rilevato la sentenza della Sez. 5^, 24
giugno 2009, n. 39930, che "è di tutta evidenza che, essendo la
messa a disposizione di quegli elementi finalizzata al pieno
dispiegarsi dell'attività difensiva, implicito è l'obbligo per
l'autorità procedente di soddisfare la richiesta in tempo utile, per
consentirne la disamina in vista del riesame".
Tali termini, d'altronde, sono ben noti al pubblico ministero,
perché normativamente scaturiscono dal disposto dell'art. 309
c.p.p., comma 1, che indica in dieci giorni il termine per proporre
la richiesta di riesame, e dalle prescrizioni dei commi 5 e 9 della
stessa disposizione normativa, che regolano le susseguenti cadenze
temporali.
Ed altrettanto noti, perché pur essi normativamente prefigurati,
sono gli ancor più ristretti termini per l'interrogatorio di
garanzia (art. 294 c.p.p.).
Tanto appare comportare, sotto il profilo organizzativo, la
opportunità che il pubblico ministero, al momento di formulare la
richiesta del provvedimento cautelare, si attrezzi anche
preventivamente e per tempo per essere in grado di ottemperare
tempestivamente al nuovo obbligo imposto dalla sentenza della Corte
Costituzionale.
7.7. Al fine di porre il pubblico ministero nella possibilità di
adempiere il proprio obbligo, è del pari necessario che la richiesta
venga proposta in tempo utile rispetto alle cadenze temporali
indicate dalle norme processuali, segnatamente, per quanto nella
specie rileva, dall'art. 309 c.p.p., comma 9, (cfr., tra altre,
Cass., Sez. Feriale, 10 settembre 2009, n. 37151; Sez. 3^, 3 novembre
2009, n. 46704, che ha richiamato quanto al riguardo rilevato dalla
pregressa sentenza della Corte Costituzionale del 17-24 giugno 1997,
n. 192; Cass. Sez. 6^, 26 marzo 2009, n. 19150).
E tanto va considerato tenuto conto della complessità o meno delle
operazioni di duplicazione delle intercettazioni (poche o moltissime;
facilmente estrapolabili o meno; ecc).
Ove il pubblico ministero ritenga che le copie richieste non possano,
per tali o altri similari motivi, essere rilasciate tempestivamente,
si prospetta al riguardo un suo onere di congrua motivazione che dia
conto di tale impossibilità, sulla stessa, poi, dovendosi esercitare
il controllo del giudice della cautela, solo alla stregua di tali
rappresentate prospettazioni, non avendo quest'ultimo la
disponibilità dell'intero compendio delle attività captative.
Se quella cadenza temporale non è possibile ragionevolmente
osservare, per essere stata la richiesta proposta in tempo non utile
ad essere assolta, o a motivatamente giustificare la impossibilità
di adempiere alla stessa, prima della relativa udienza camerale,
anche alla stregua delle ragioni prospettate dal pubblico ministero,
il tribunale del riesame deve comunque decidere alla stregua degli
atti trasmessigli nel termine impostogli dalla legge: nella precitata
sentenza della Corte Costituzionale n. 192/1997, in riferimento ai
"termini rapidi e vincolanti previsti per l'interrogatorio", si è
osservato che "nè il difensore potrà pretendere, ne' l'autorità
giudiziaria potrà concedere dilazioni di tali termini ove risulti
materialmente impossibile procedere alla copia di tutti gli atti
richiesti entro le rigide cadenze previste per l'interrogatorio e per
l'udienza del riesame".
D'altronde, il diritto a far valere eventuali rilievi e ragioni
difensive, in termini di rilevanza probatoria o indiziaria,
scaturenti dall'ascolto delle registrazioni, non rimane, in tal caso,
affatto precluso all'indagato, giacché quei rilievi e quelle ragioni
possono comunque essere dallo stesso fatti valere successivamente,
una volta ottenuta la copia della traccia fonica richiesta.
7.8. Quanto all'autorità giudiziaria davanti alla quale può esser
fatto valere il mancato rilascio della copia degli atti richiesti, la
sentenza della Sez. 6^ 6.11.2008, n. 44127 ha ritenuto che
"l'inadempimento della richiesta di accesso, in quanto atto
sopravvenuto, può essere fatto valere solo innanzi al giudice che ha
emesso il provvedimento, giacché il controllo effettuato dal riesame
attiene solo al provvedimento impositivo "di base" al momento del
deposito degli atti ex art. 293 c.p.p.".
Tale assunto non può essere condiviso.
Appare, difatti, in tal guisa prospettarsi che il vaglio demandato al
giudice del riesame debba essere cristallizzato solo alla situazione
sussistente al momento impositivo della misura, nessun rilievo
assumendo altre circostanze intervenute medio tempore e pure
prospettabili al medesimo giudice.
Ma, innanzitutto, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 5, il P.M. ha
l'obbligo di trasmettere, nel termine indicato, anche "tutti gli
elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle
indagini", ed analogo diritto deve, simmetricamente, essere
riconosciuto alla parte.
In ogni caso, ai sensi del nono comma della stessa disposizione
normativa, il tribunale decide "anche sulla base degli elementi
addotti dalle parti nel corso dell'udienza".
Il tribunale del riesame, quindi, deve verificare, alla stregua degli
artt. 273, 274, 275 e 280 c.p.p., la legittimità della adozione
della misura cautelare, avendo anzitutto riguardo alla situazione
processuale coeva al provvedimento impugnato, senza, tuttavia,
omettere di valutare anche gli elementi sopravvenuti purché addotti
nell'udienza camerale (ex ceteris, Sez. Un. 8 luglio 1994, n. 11;
Sez. Un. 8 luglio 1994, n. 12): l'eventuale accertamento della
difformità tra le indicazioni contenutistiche indicate nei
"brogliacci" e l'effettivo tenore delle conversazioni captate è
elemento di valutazione sopravvenuto alla situazione rappresentata e,
in quanto tale, esaminata dal giudice che impose la misura,
deducibile davanti al giudice del riesame che deve, a quel momento,
delibare la sussistenza, tra l'altro, delle condizioni di cui al
precitato art. 273 c.p.p..
Può soggiungersi che la regola della deducibilità del novum nel
procedimento incidentale de libertate trova applicazione anche nel
procedimento di appello, ex art. 310 c.p.p., improntato al principio
devolutivo, in relazione ad elementi probatori nuovi, preesistenti o
sopravvenuti, pur sempre nell'ambito dei confini segnati dal
devolutimi ; in particolare, non si è revocata in dubbio alcuno la
possibilità che al difensore, nel giudizio di appello de libertate,
"sia consentito, dopo aver esaminato gli atti su cui si fonda
l'ordinanza appellata e nel contraddittorio camerale, produrre a
favore del proprio assistito la documentazione relativa a materiale
informativo, sia preesistente che sopravvenuto, acquisito anche
all'esito di investigazioni difensive ..." (Sez. Un., 31 marzo 2004,
n. 18339 ; v. anche Sez. Un., 21 giugno 1997, n. 8).
Poiché il difensore ha la facoltà di prospettare, in sede di
riesame, anche elementi nuovi, incidenti sul tema della legittimità
del provvedimento che ha imposto la misura cautelare, gli deve essere
assicurato, in quella sede, anche il diritto di aver piena cognizione
degli atti sui quali la misura si fonda, per consentirgli ogni
attività difensiva al riguardo, compresa le eventuale prospettazione
del novum rispetto agli elementi posti a base della originaria misura
impositiva, dato dalla non corrispondenza o non esatta
interpretazione tra quanto riportato nei "brogliacci" e quanto,
invece, realmente risulta dalla intercettazioni.
In definitiva, l'accesso alle registrazioni delle conversazioni
captate serve a rendere effettivo e completo l'esercizio del diritto
di difesa della parte, come chiarito nella suindicata sentenza del
Giudice delle leggi, giacché "l'interesse costituzionalmente
protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste
alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire
efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali"; e
"l'interesse in questione può essere assicurato con la previsione
... del diritto dei difensori ad accedere alle registrazioni in
possesso del pubblico ministero".
L'acquisizione di quei dati, dunque, è finalizzato proprio al
controllo della legittimità della misura genetica emessa nei
confronti dell'indagato: e proprio tale scrutinio è demandato al
giudice del riesame.
7.9. Ove il pubblico ministero non ottemperi tempestivamente alla
richiesta di accesso alle registrazioni e di trasposizione su nastro
magnetico delle conversazioni o comunicazioni captate, perché la
circostanza possa rilevare nel procedimento incidentale de libertate
la parte ha l'onere di specifica allegazione e documentazione al
riguardo, in quella sede.
Se tanto non venga specificamente dedotto, il difensore rinuncia del
tutto alla possibilità di contestare la "presunzione d'esistenza e
di conformità" del contenuto dei "brogliacci" a quello delle
conversazioni o comunicazioni captate; ed il tribunale del riesame
nessun accertamento è tenuto ad eseguire al riguardo, neppure
risultandogli che una richiesta di accesso sia stata proposta.
Ne consegue che il rilievo non può essere formulato per la prima
volta in Cassazione.
7.10. Ove il rilievo sia stato, invece, specificamente e
documentalmente proposto al giudice del riesame, v'è innanzitutto da
chiedersi se, nel riscontrato inadempimento dell'obbligo da parte del
pubblico ministero e nella sua, a quel momento, persistente inerzia,
il tribunale abbia poteri officiosi al riguardo.
A tale quesito si ritiene di dover dare risposta positiva.
Deve, infatti, premettersi che queste Sezioni Unite hanno già avuto
modo di rilevare che, a seguito delle novelle normative intervenute
sull'originario assetto del codice di rito, "il riesame ha assunto
... la funzione di strumento di controllo a garanzia della libertà
personale nella dialettica tra le parti attraverso un'effettiva e
tempestiva verifica giudiziale, con l'attuata discovery degli
elementi a sostegno della richiesta cautelare ... .
Da mezzo di difesa per "costringere" il P.M. a scoprire la sua
strategia accusatoria, il riesame si è connotato, secondo
l'evoluzione giurisprudenziale, di una logica di tipo sostanziale che
consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla
valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso
la trasmissione dei dati dai quali potessero desumersi gli elementi
di colpevolezza, le esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura
prescelta" (Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 19853).
Trattandosi di valutare le conseguenze derivanti dalla mancata
allegazione e trasmissione di atti concernenti le intercettazioni
utilizzate ai fini cautelari, non sottoposti al G.I.P. ai sensi
dell'art. 291 c.p.p. (si trattava, specificamente, dei decreti
autorizzativi delle operazioni di intercettazione), s'è distinto il
caso in cui tali atti siano stati regolarmente allegati alla
richiesta di misura cautelare e poi non trasmessi al tribunale del
riesame, ed il caso in cui la mancata trasmissione degli atti
consegua alla non integrale presentazione degli stessi già al
giudice per le indagini preliminari. Solo nel primo caso - s'è
chiarito - consegue la caducazione automatica della misura; nel
secondo caso, invece, "non opera una siffatta sanzione" e "il
comportamento omissivo del P.M., circa il mancato inoltro di alcuni
atti ... che, pertanto, il G.I.P. non ha potuto valutare e il
corrispondente mancato esame degli stessi da parte del tribunale del
riesame non determina la perdita di efficacia dell'ordinanza
cautelare ... ma solo la inutilizzabilità" di quegli atti.
La pecularità della situazione che qui si esamina scaturisce dalla
considerazione che, a ben vedere, non si versa in ipotesi in cui non
siano stati prodotti al G.I.P. atti che egli, quindi, non ha potuto
valutare; gli esiti delle operazioni captative gli sono stati
rappresentati attraverso la trascrizione che di essi sia stata
effettuata dalla p.g., con i "brogliacci" o forme consimili, e
legittimamente alla stregua di essi è stata emessa la misura
cautelare.
Si tratta, invece, solo di consentire di verificare, a richiesta ed
eventuale contestazione di parte, la effettiva corrispondenza del
contenuto cartaceo a quello auditivo, il che, ovviamente, presuppone
che la parte sia posta in condizione di eventualmente proporre quella
richiesta e quelle contestazioni, mercè il concreto esercizio del
diritto di difesa nei termini riconosciutile dalla sentenza della
Corte Costituzionale.
La questione, quindi, investe non la produzione, ab imis, della
prova, che è stata a suo tempo prodotta in forma idonea ad essere a
quel momento valutata ai fini della emissione del provvedimento
cautelare, ma la possibilità della sua ulteriore valutazione, della
sua verifica, in sede di riesame, ove ivi richiamata, e quindi
riproposta, in violazione di tale diritto di difesa.
Pur nel quadro di quei principi affermati dalle Sezioni Unite, la
giurisprudenza di legittimità non ha mancato di affrontare ed
esaminare lo specifico tema che qui si è proposto. Con sentenza
della 1^ Sez. 28 aprile 1998, n. 2383, si è ritenuto che, in caso di
mancata allegazione da parte del P.M. di atti nella richiesta del
provvedimento cautelare (si trattava anche in quel caso di decreti
autorizzativi di intercettazioni), non soltanto "nulla vieta al
G.I.P. di disporne preventivamente la acquisizione prima di emettere
il provvedimento custodiale", ma, in ogni caso, la relativa verifica
"potrà essere fatta anche a posteriori ... dal tribunale del riesame
...".
Ed il principio è stato più volte ribadito (Sez. 1^, 30 giugno
1999, n. 4582; Sez. 4^, 28 gennaio 2000, n. 2068; Sez. 4^, 1 giugno
2001, n. 27961; Sez. 6^, 13 dicembre 2002, n. 1304/2003; Sez. 4^, 1
dicembre 2004, n. 4631; Sez. 4^, 8 novembre 2005, n. 4207; Sez. 4^, 1
marzo 2005, n. 15426; Sez. 3^, 12 ottobre 2007, n. 42371); esso è
stato affermato in relazione alla acquisizione dei decreti
autorizzativi delle operazioni di intercettazione, ma non v'è
ragione alcuna per non ritenerlo operante anche per altri atti; e
tale potere officioso si appalesa del tutto consono e funzionale a
quella "logica di tipo sostanziale" che caratterizza l'attività del
tribunale del riesame nel controllo e nella valutazione del quadro
indiziario che ha indotto alla emanazione della misura cautelare.
Tale attività officiosa può, peraltro, essere compiuta solo in
tempi utili per l'espletamento delle conseguenti incombenze e la
valutazione dei relativi esiti entro l'improcrastinabile termine nel
quale il tribunale deve rendere la sua decisione, ai sensi dell'art.
309 c.p.p., comma 9.
In particolare, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19853/2002 cit. ha
chiarito che anche la "produzione vicaria" cui è abilitata la difesa
è "sganciata dal termine perentorio di cui al citato quinto comma
(dello stesso art. 309 c.p.p.) e quelle prospettazioni possono essere
rappresentate "fino all'udienza camerale e nel corso della stessa".
7.11. Ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il
diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta
del pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico
provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo
tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal P.M.; non comporta
la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché
questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall'art. 271 c.p.p.,
comma 1; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché
la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono
solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299,
300, 301, 302 e 303 c.p.p., art. 309 c.p.p., comma 10).
Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della
prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non
inficia l'attività di ricerca della stessa ed il risultato
probatorio, in sè considerati.
Esso comporta, quindi, una nullità di ordine generale a regime
intermedio, ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), soggetta al
regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180,
182 e 183 c.p.p..
Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il
giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la sua
decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle
intercettazioni riportato in forma cartacea, in mancanza della
denegata possibilità di riscontrarne la sua effettiva conformità
alla traccia fonica.
Esso, difatti, è stato, bensì, legittimamente considerato, nella
sua forma cartacea, al momento della emissione del provvedimento
cautelare; ma, dovendo, poi, il tribunale distrettuale (ri)esaminare
la sussistenza delle condizioni legittimanti quel provvedimento, la
difensiva richiesta di accesso depriva quel dato di definitiva
valenza probatoria, nella sua presunzione assoluta di conformità,
che rimane non verificata prima che si dia ingresso e concreta
attuazione alla espressa richiesta della parte in tal senso
formulata.
In sede di riesame il dato assume tale connotazione di definitività
probatoria solo quando la parte sia stata posta in condizione di
verificare quella conformità, esercitando il richiesto diritto di
accesso. Deve condividersi, perciò, l'approdo cui è pervenuta la
sentenza della 2^ Sez., 18 dicembre 2009, n. 4021/2010, cit., secondo
cui "gli atti di intercettazione sono in sè pienamente validi e
potranno essere considerati elementi probatori non appena le difese
avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e
non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate
dalla p.g.".
Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata
patologia, non potrà utilizzare quel dato nel procedere alla
valutazione della prova: in tal senso ed a tali fini quel dato,
perciò, rimane in quella sede inutilizzabile.
Del resto, ed in diverso ambito, tale regola è rinvenibile nel
sistema: difatti, ai sensi dell'art. 195 c.p.p., comma 3, in tema di
testimonianza indiretta, nel caso di mancato esame della fonte di
riferimento nonostante la richiesta di parte, le dichiarazioni de
relato sono espressamente dichiarate inutilizzabili.
Egli dovrà, semmai, procedere alla ed. prova di resistenza e
valutare, cioè, se quel dato non assuma rilevanza decisiva nel
contesto della intera evidenza procedimentale rinvenibile, che gli
consenta di egualmente esprimere il suo conclusivo divisamento
riguardo alla sussistenza del richiesto grave quadro indiziario.
Se, invece, il provvedimento cautelare si fondi decisivamente su quel
dato, quella nullità tempestivamente e ritualmente dedotta comporta
l'annullamento della ordinanza cautelare, proprio perché la verifica
effettuata nel giudizio di riesame induce ad una valutazione di
insussistenza del richiesto grave quadro indiziario.
E lo stesso è da dirsi, mutatis mutandis, nel caso di appello
cautelare, ex art. 310 c.p.p..
7.12. L'eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le
ragioni testè indicate, non preclude al pubblico ministero la
possibilità di reiterare la richiesta ed al G.I.P. di accoglierla,
se la nuova richiesta sia, questa volta, corredata dal relativo
supporto fonico, e non più solo cartaceo.
Questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di esaminare il tema
del giudicato cautelare.
Si è, quindi, tra l'altro, chiarito che il principio di cui all'art.
649 c.p.p. trova applicazione, in subiecta materia, "quando il
giudice deve prendere in esame quegli stessi presupposti che siano
stati sottomessi a valutazione in sede di gravame e ritenuti
insussistenti, insufficienti o invalidi e non quando l'inefficacia
del provvedimento sia derivata da sopravvenute condizioni
estrinseche, come da irregolarità della procedura di riesame" (Sez.
Un., 1 luglio 1992, n. 11; Sez. Feriale, 6 settembre 1990, n. 2668;
Sez. 6^, 2 aprile 1992, n. 1145); la preclusione da giudicato non
sussiste quando vi sia stato "un successivo, apprezzabile mutamento
del fatto" (Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 20).
In tema di appello cautelare, in ottemperanza al principio che si
stabilisce "una situazione di relativa stabilità del decisum, nel
senso che esso spiega una limitata efficacia preclusiva
endoprocendimentale, "allo stato degli atti", in ordine alle
questioni di fatto e di diritto esplicitamente o implicitamente
dedotte", s'è rilevato che tali questioni "restano precluse in sede
di adozione da parte del G.I.P. di un successivo provvedimento
cautelare richiesto dal P.M. nei confronti dello stesso soggetto e
per lo stesso fatto" solo "nella carenza di deduzione da parte del
pubblico ministero di nuove e significative acquisizioni che
implichino un mutamento della situazione di riferimento, sulla quale
la decisione di appello era fondata" (Sez. Un., 31 marzo 2004, n.
18339, cit.).
In materia cautelare, all'esito del procedimento di impugnazione, "si
forma una preclusione processuale, anche se di portata più modesta
di quella relativa alla cosa giudicata, ... limitata allo stato degli
atti e copre solo le questioni esplicitamente o implicitamente
dedotte" (Sez. Un., 19 dicembre 2006, n. 14453/2007); l'effetto
preclusivo si determina ove si registri la "assenza di un mutamento
del quadro processuale di riferimento" (Sez. Un., 24 maggio 2004, n.
29952); "non vi è preclusione ... nell'ipotesi in cui la nuova
richiesta contenga una diversità di allegazioni e deduzioni" (Sez.
5^, n,13 ottobre 2009, n. 43069; Sez. 6^, 25 ottobre 2002, n.
5374/2003).
In definitiva, l'effetto preclusivo endoprocedimentale dispiega i
suoi effetti quando la nuova misura cautelare venga richiesta sugli
stessi presupposti ed elementi già esaminati e decisi, quando il
quadro processuale e probatorio rimanga integro ed immutato ed
immutata rimanga, perciò, la già esaminata situazione processuale e
probatoria di riferimento.
Tale effetto, invece, non si verifica ove, a seguito di nuovi e
diversi elementi, venga a mutare il quadro probatorio di riferimento
in relazione al quale è stata esaminata la sussistenza o meno delle
condizioni legittimanti la imposta misura cautelare, perché in tal
caso, la nuova richiesta si fonda su dati probatori che non hanno
costituito oggetto di valutazione da parte del precedente giudice
della cautela ed alla stregua di questi la richiesta e la misura
possono essere rispettivamente nuovamente formulata e disposta.
Se, quindi, il tribunale del riesame non abbia valutato la situazione
probatoria in riferimento agli esiti delle intercettazioni, a causa
della suindicata nullità, ove questi vengano, poi, legittimamente
acquisiti con la produzione della traccia fonica, muta il quadro di
riferimento probatorio, ed alla stregua di quello così diversamente
delineatosi il giudice della cautela è pienamente integrato nel suo
potere-dovere di valutare, a quel momento, la sussistenza o meno
delle condizioni legittimanti la nuova richiesta di misura cautelare
(per una ipotesi analoga a quella che nel caso che occupa rileva,
concernente la successiva acquisizione dei decreti autorizzativi
delle operazioni di intercettazione, v. Sez. 5^, 9 giugno 1998, n.
2169).
7.13. Ove la predetta nullità venga riscontrata e dichiarata solo in
sede di legittimità, il provvedimento impugnato, affetto da tale
vizio, va annullato con rinvio, comportando la dichiarazione di
nullità la regressione del procedimento allo stato in cui è stato
compiuto l'atto nullo e la necessità della rinnovazione di
quest'ultimo, con emenda dei vizi riscontrati (art. 185 c.p.p.).
In sede di rinvio, non più soggetto ai termini perentori indicati
dall'art. 309 c.p.p., comma 10, (in tal senso la uniforme
giurisprudenza di questa Suprema Corte: cfr., ex ceteris, Sez. Un.,
17 aprile 1996, n. 5; Sez. 5^, 2 dicembre 1997, n. 5473/1998 ; Sez.
5^, 23 novembre 1999, n. 5652/2000; Sez. 6^, 16 giugno 2003, n.
35651), il tribunale del riesame è reintegrato nei poteri-doveri dei
quali sopra si è già detto.
8.0. Nel caso di specie, dalla documentazione prodotta dal difensore
dell'indagato (che il Tribunale del riesame ha esaminato) è dato
evincere che, con istanza in data 14 agosto 2009, indirizzata al
Sostituto Procuratore della Repubblica di Trani, il difensore
richiese il "rilascio di tutte le intercettazioni telefoniche e
ambientali e/o brogliacci delle intercettazioni telefoniche
trascritte e/o registrate su CD".
In calce alla stessa, in data non intellegibile (sembra 17 agosto),
è dato leggere: "V. al G.I.P. con parere favorevole ed esecuzione
alla P.G. operante"; più sopra vi è annotazione manoscritta "CC.
Barletta".
Il ricorrente assume: "il mio difensore recatosi in data 19.8.2009
(l'udienza del riesame era fissata per il 24 agosto) presso il
Comando Compagnia Carabinieri di Barletta al fine di ottenere copia
dei dati informatici relativi alle intercettazioni telefoniche
nonché dei brogliacci come da nota del P.M., accertava con prova
documentale che i supporti informatici contenenti le intercettazioni
erano stati in Procura sin dal lontano 12 giugno 2008, e non venivano
messi a disposizione della difesa ...".
Tale "prova documentale" è rappresentata dalla copia di una missiva
del Nucleo Operativo e Radiomobile dei CC. di Barletta in data 10
giugno 2009, indirizzata alla "Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i Minorenni di Trani" e (solo) "per conoscenza "alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani (c.a. Sost.
Proc. dr. Ettore Cardinali)".
Ivi si dice: "debitamente repertati si depositano copia dei supporti
informatici contenenti i dati e le fonie delle attività tecniche
connesse al Proc. Pen. 4660/08 mod. 21 della Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Trani, RIT nr. 109/08 del 31.7.2008, RIT nr.
110/08 del 14.8.2008 e RIT nr. 116/08 del 04.09.2008 come da elenco
allegato" (secondo quanto indicato nella intestazione del
provvedimento impugnato e nella richiesta di copia è il procedimento
che qui interessa).
Tale documento, quindi, fa riferimento solo a "copia" di atti rimessi
alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, in
riferimento al procedimento di competenza dello stesso Tribunale per
i Minorenni ivi indicato, evidentemente connesso al procedimento che
qui interessa.
Gli atti indicati in quella annotazione dei CC. non rilevavano,
perciò, nel procedimento che qui interessa: riguardavano,
evidentemente, solo la posizione di imputato o imputati minorenni;
gli atti riguardanti il presente procedimento dovevano, invece,
essere stati depositati presso la Procura della Repubblica (art. 268
c.p.p., comma 4; art. 89 disp. att. c.p.p.).
Alla stregua di tanto, già il rimettere, "con parere favorevole", la
decisione sulla proposta istanza al G.I.P., che non aveva la
disponibilità degli atti e che non poteva effettuare alcuna
operazione di selezione e di estrapolazione di quelli richiesti
(secondo quanto si è sopra già osservato), comportava la
disattenzione della istanza e la impossibilità di darvi concreto
seguito.
A quella richiesta, difatti, avrebbe dovuto ottemperare il pubblico
ministero. Rimane che la richiesta difensiva non è stata affatto
adempiuta da quest'ultimo (nè, ovviamente, da altri); essa era stata
proposta, come s'è detto, il 14 agosto e l'udienza camerale venne
tenuta il successivo 24 agosto, sicché la richiesta medesima era
intervenuta in tempo utile per essere assolta in tale lasso
temporale; ed il "parere favorevole" espresso dal P.M. lascia
intendere che non vi fossero particolari ragioni di difficoltà
tecnica per prontamente ottemperarvi.
Deve ritenersi, perciò, realizzata la nullità generale di cui sopra
s'è detto, tempestivamente dedotta nel corso della udienza camerale
ed illegittimamente disattesa dal tribunale del riesame.
Tanto comporta l'annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio
al giudice a quo per nuovo esame.
9.0. Gli altri motivi di ricorso assumono, a tal punto, rilievo
subordinato, rilevando essi nel caso in cui il giudice del rinvio
positivamente risolva la questione sopra indicata, in relazione alla
sussistenza del grave quadro indiziario anche alla stregua degli
esiti delle eseguite operazioni captative, e, comunque,
conseguentemente, compiutamente esamini il quadro indiziario che ne
risulterà.
Ed in tale ottica vanno esaminati.
10.0. Il terzo motivo di gravame (sub e), suprà) è infondato.
Hanno, invero, ben chiarito i giudici del merito, dopo aver
richiamato il contenuto delle conversazioni intercettate, che
"l'attivazione del mezzo di ricerca della prova nei confronti del
Lasala ... è stata ampiamente giustificata dall'emersione di seri
e corposi elementi di reità circa il suo coinvolgimento nelle rapine
eseguite dal gruppo malavitoso ...".
La regola di cui all'art. 192 c.p.p., comm1 3 e 4, è richiamata
dall'art. 273 c.p.p., comma 1 bis, in tema di condizioni generali di
applicabilità di una misura cautelare personale, ai fini della
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza che la legittimano;
essa, invece, non è evocata dall'art. 267 c.p.p., comma 1, che, nel
suo comma 1 bis, richiama solo l'applicazione dell'art. 203, a
proposito degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi
di sicurezza. Quale presupposto del provvedimento autorizzativo alle
captazioni, i gravi indizi di reato possono, quindi, essere
rappresentati anche da una chiamata in correità, non ancora a quel
momento definitivamente scrutinata nella sua rilevanza ai fini delle
condizioni generali di applicabilità di una misura cautelare
personale, o in termini di prova ai sensi del precitato art. 192
c.p.p., comma 3.
Peraltro, ed in ogni caso, il ricorrente mostra di ritenere che per
la attivazione di operazioni captative sia necessaria la sussistenza
di elementi indiziari di colpevolezza riguardo al soggetto nei
confronti del quale quelle attività siano poste in essere; ma la
norma (art. 267 c.p.p., comma 1) richiede la sussistenza di indizi di
reato, non di reità: essi attengono alla esistenza dell'illecito
penale, non alla colpevolezza di un determinato soggetto (Sez. 4^, 17
ottobre 2006, n. 42017; Sez. 4^, 16 novembre 2005, n. 1848/2006; Sez.
1^, 3 dicembre 2003, n. 16779/2004).
11.0. Egualmente infondato è il quarto motivo di doglianza (sub d),
supra).
Il provvedimento impugnato, difatti, ha correttamente richiamato i
parametri di riferimento valutativi del reato associativo ed in
riferimento a questi ha coerentemente ritenuto la sussistenza del
grave quadro indiziario, evidenziando le "emergenze investigative"
che "pongono in luce l'esistenza di un accordo tra più soggetti (fra
cui anche Lasala Cosimo Damiano) diretto all'attuazione di un
continuativo programma criminoso, per la commissione di una serie
indeterminata di delitti e, dunque, lo svolgimento di una
continuativa attività illecita perpetrata su basi organizzate".
Assumendo il ricorrente che l'ordinanza coercitiva sarebbe stata
annullata nei confronti del Lombardi, è dirimente considerare che
tanto costituisce solo labiale assunto, non essendo stato prodotto
alcun atto dal quale evincersi la effettiva sussistenza della
circostanza allegata e, con essa, i termini della addotta effettuata
delibazione e la loro possibile incidenza riguardo alla complessiva
situazione processuale dell'attuale ricorrente, come compiutamente
rappresentata e delineata nel provvedimento impugnato, atteso che gli
elementi apprezzati vanno anche oltre la mera contestazione della
circostanza che egli prendeva ordini dal Lombardi.
La gravata ordinanza, in definitiva, si sottrae allo stato, anche in
parte qua, a rinvenibili vizi di illogicità, che, peraltro, la norma
vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu
oculi.
12.0. Privo di consistenza è anche il quinto motivo di censura (sub
e), supra).
L'assunto che "la disponibilità del telefonino cellulare ben poteva
averla altra persona ..." è, ancora una volta, mera labiale
deduzione espressa solo in termini di astratta, ipotetica
possibilità, non certo di congrua, effettiva probabilità, per la
quale il ricorrente omette qualsivoglia allegazione specifica.
E lo stesso è da dirsi sulla circostanza relativa alla certezza che
il veicolo del ricorrente venisse da lui condotto.
Il fatto, poi, che egli fosse detenuto nel periodo indicato, secondo
la allegazione al riguardo prospettata, non esclude affatto, di per
sè, la contestata partecipazione all'associazione criminosa.
13.0. Anche il sesto motivo di ricorso (sub f), supra) è infondato.
Il provvedimento impugnato, difatti, ha riportato il contenuto di una
conversazione intervenuta tra Gaetano Spera e Mascolo Francesco
e, con giudizio che si sottrae a rinvenibile vizio di illogicità, ha
coerentemente ritenuto che indiziariamente emerge dal predetto
dialogo che Lasala Cosimo Damiano (detto "Chicco") concorse con
Gaetano Spera (quanto meno sul piano della compartecipazione
morale) all'uccisione di un cane attraverso l'utilizzazione di
un'arma da fuoco.
14.0. Il settimo motivo di gravame (sub g), supra) è, ancora una
volta, pur esso infondato.
Correttamente, difatti, i giudici del merito hanno rilevato che "la
localizzazione mediante il sistema di rilevamento satellitare (ed.
GPS) degli spostamenti di una persona nei cui confronti siano in
corso indagini costituisce una forma di pedinamento non assimilabile
all'attività d'intercettazione di conversazioni o comunicazioni, per
la quale non è necessaria alcuna autorizzazione preventiva".
Tale affermazione non è affatto "a dir poco scioccante", come vuole
il ricorrente, ma del tutto corretta e tale principio è stato
reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte
(Sez. 6^, 11 dicembre 2007, n. 15396/2008; Sez. 4^, 28 novembre 2007,
n. 3017/2008; Sez. 4^, 29 gennaio 2007, n. 8871; Sez. 5^, 7 maggio
2004, n. 24715; Sez. 5^, 27 febbraio 2002, n. 16130).
15.0. Palesemente infondato, infine, è l'ottavo profilo di doglianza
(sub h), supra).
Quanto, difatti, alla sussistenza delle ravvisate esigenze cautelari
ed alla adeguatezza della misura imposta, i giudici del merito hanno
puntualmente e del tutto coerentemente motivato, evocando le
"modalità e circostanze dei fatti", concretizzatesi nella
"perpetrazione di una serie di rapine presso istituti bancari od
uffici postali", a conferma della "sua propensione al crimine, dai
cui proventi trae, in via esclusiva, i mezzi per vivere"; il
"contesto associativo in cui sono stati commessi i delitti"; la "sua
pessima indole"; l'applicazione nei suoi confronti (e di altro
coindagato) di altra misura della custodia cautelare in carcere "per
i delitti di concorso in furto aggravato di un'autovettura, in rapina
aggravata e in detenzione e porto illegale di un'arma da sparo"; la
circostanza che egli "è pregiudicato per analoghi delitti (rapina a
mano armata e furto commessi ... nel 2004) e che, ad onta del
beneficio indulgenziale ex art. 163 c.p. concessogli in occasione di
quella condanna, ha ostinatamente proseguito nell'attività
delinquenziale": del tutto logicamente consequenziale è l'espresso
divisamento, che "la sua indole incoercibilmente refrattaria al
rispetto della legge si pone in termini antitetici al contenuto
tipico di misure meno afflittive", donde "l'assoluta inadeguatezza ai
fini preventivi della misura gradualmente meno afflittiva degli
arresti domiciliari".
16.0. Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato, per i motivi
suesposti, con rinvio al Tribunale di Bari, per nuovo esame.
Deve, altresì, disporsi che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al Direttore dell'istituto penitenziario competente perché
provveda a quanto stabilito dall'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1
ter.
P.Q.M.
La Corte annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al
Tribunale di Bari.
Si comunichi ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2010